[vc_row][vc_column][vc_column_text]“Ma poiché solamente nella mancanza di approdi risiede la verità suprema, senza rive e indefinita come Dio, così è meglio perire in quell’urlante infinito che venir ingloriosamente scaraventato sottovento, anche se quella fosse la salvezza!”

Herman Melville, “Moby Dick” (trad. Cesare Pavese)

7 agosto – quarto giorno

Il 7 agosto ci ha raggiunti anche Mario Barzaghi, consulente alla regia e più in generale alla messa in scena. Il nostro Maestro, con il quale abbiamo elaborato una ricerca attoriale, che partendo dal ritmo, dal lavoro sui trampoli e da un’etica dichiarata, ha portato alla creazione dei nostri spettacoli di strada e ha nutrito la crescita del nostro gruppo. Con Mario vogliamo affrontare questioni aperte e spingere la riflessione in mare aperto.

Mario come si colloca il tuo ruolo nello spettacolo?

Mario: la domanda è prematura, nel senso che il progetto è così complesso, in fieri, che ancora alcuni ruoli sono tutti da definire. Ad esempio il ruolo del drammaturgo e della drammaturgia. Al momento siamo consapevolmente privi di una vera drammaturgia, ma sappiamo che dalla sua definizione passerà il valore aggiunto dello spettacolo. Un romanzo ponderoso come Moby Dick, da riportare in strada, avrà bisogno di un lavoro certosino.
Al momento il mio è un lavoro di accompagnamento, posso anticipare che qui a Travo sarò anche in scena. Nei prossimi mesi si vedrà.

Quali sono le coordinate di Moby Dick, in quale traiettoria artistica si colloca rispetto agli altri lavori del Teatro dei Venti?

Mario: Apparentemente si situa in una continuità del teatro all’aperto, teatro IN strada, come gli altri spettacoli del Teatro dei Venti. Il Draaago, Simurgh, Pentesilea non sono propriamente spettacoli DI strada, utilizzano tecniche del teatro di strada, ma stabiliscono un rapporto tradizionale con lo spettatore. Ma Moby Dick ha posto da subito esigenze particolari. Innanzitutto rispetto all’organico, in termini numerici e di competenze. Necessitiamo di specialisti del parkour, cascatori, acrobati. Non per il virtuosismo fine a se stesso, ma per la capacità di fare cose extra-ordinarie.
La differenza con gli altri spettacoli poi sta nell’idea scenografica, che sarà realizzata con una costruzione di grandi dimensioni. Un Car-Navale, una nave che si presenta come un carro che diventa praticabile, un palco alto circa un metro. Per cui probabilmente si potrà rinunciare ai trampoli. Infatti, questi, in strada venivano utilizzati primariamente come palchi mobili, per elevare gli attori, e solo in un secondo momento sono stati oggetto di una ricerca specifica e di un linguaggio peculiare. Quindi ci si dovrà preparare a un linguaggio diverso, bisognerà non dilatare i movimenti, pensare di stare al chiuso pur stando all’aperto, utilizzare in modo più massiccio e articolato il testo. Dunque uno spettacolo che esce dal seminato. E gli attori non dovranno più far riferimento al sedimentato, ma dovranno pensare alle nuove necessità. Non potranno vivere di rendita.
Moby Dick si sta prefigurando come uno spettacolo intrinsecamente grande, obbligherà il gruppo a passare da una visione artigianale a una visione che potremmo definire produttiva. E metterà il gruppo alla prova. Un salto enorme. Tutto dipenderà da come il gruppo si preparerà. Parlo di gruppo riferendomi al nucleo del Teatro dei Venti, che si dovrà mettere in moto anche per produrre repliche, organizzandosi alla vendita. Tornando alla traiettoria, non vedo connessione tra il repertorio del Teatro dei Venti e Moby Dick. La portata dell’operazione è non calcolabile al momento. Moby Dick si prefigura più come evento che come semplice spettacolo; chi ne comprerà le repliche e ne abbraccerà il progetto dovrà avere interesse per la forte componente sociale che esso mostra già di possedere. Ci sono tutti i presupposti per far diventare lo spettacolo un evento aperto alla socialità. Io penso al Festuge, organizzato dall’Odin a Hostelbro, ma quali realtà sono in grado di mettere a disposizione le risorse adeguate per un progetto del genere? Questo mi sembra l’orizzonte al quale ci riferiamo.

Come influirà lo spettacolo sulla crescita del gruppo?

Mario: Si tratta di un’operazione che metterà il gruppo sulla soglia, sul limen, sul filo del funambolo. In particolare a livello organizzativo e per quanto riguarda la capacità di pianificazione e di vendita.
Direi che il montaggio dello spettacolo, seppur complesso, potrebbe risultare la cosa più semplice, rispetto a quello che si dovrà affrontare a latere e dopo. Ci sono sfide che riguardano la parte preparatoria, la drammaturgia, la costruzione della scenografia e il suo utilizzo, e poi le future repliche. Quante persone sono previste in scena? Circa 30, al momento. Quanto costa lo spostamento? Un gruppo piccolo può permettersi di produrre uno spettacolo così grande? Queste problematiche hanno bisogno della giusta cura, perché stiamo affrontando un’opera titanica. Cosa deve cambiare perché l’opera e l’intero progetto vadano in porto?
Può sembrare che l’elenco delle difficoltà abbia carattere negativo, oppure che rappresenti una bocciatura del progetto. Non è così. Io sto all’interno del progetto, ho avuto modo di dichiarare le mie preoccupazioni, ma allo stesso tempo sto lavorando con la gioia che uno spettacolo così impegnativo necessita. Perché Moby Dick è un generoso tentativo di staccarsi da una certa deriva solipsistica del teatro contemporaneo, dall’idea che con una sedia si possa fare tutto, meglio se da soli.
Andiamo contro corrente mettendo in opera un progetto che ci costringe a lavorare in gruppo.
Moby Dick vuole essere un inno al teatro, cioè, come diceva Fabrizio Cruciani, alla relazione.

[Continua…]

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